4)... ve lo confesso

<=== L'incontro con Beatrice

confessione

E allora ora ve lo confido, senza rimpianti e senza che i fiorentini se la prendano a male: anche io, Dante Alighieri, per scrivere la mia Divina Commedia, ho preso ispirazione dalle coste salmastrose livornesi. Oooh! L’ho detto! Era da quando m’hanno mandato in esilio che avevo questo peso sullo stomaco.

D’altronde, a Livorno di spunti ne ho trovati a bizzeffe, soprattutto nelle innumerevoli sfaccettature del carattere dei livornesi che mi hanno ispirato per tutta la costruzione del mio Inferno e di gran parte dei personaggi che lo popolano, oltre alle pene che essi subiscono. Sul Pontino, sugli Scali del Monte Pio o sul Viale Caprera, piuttosto che all’Origine, sempre col pensiero rivolto alla mia Beatrice, ho gettato le basi per iniziare quello che nei secoli è stato definito il mio capolavoro.

Ma ritorniamo alla vita di tutti i giorni, che è quella che ci interessa in questo momento. Dai e dai, le ciance delle comari ciaccione fiorentine, arrivarono alle orecchie di Gemma che venne a sapere che mi ero invaghito perso della Bice. La reazione non fu delle migliori, specialmente allorché ci trovavamo a trascorrere un week-end lungo a Livorno e
Gemma, mentre faceva la spesa al mercatino del venerdì, che all’epoca si teneva sempre in via Galilei, davanti al Cisternone (che però non era ancora stato costruito) si trovò a quattr’occhi proprio con la sua antagonista.
 

La Bice cercava di evitarla, più che altro per non cedere all’impulso di un’antipatica piazzata, e ci riuscì anche per un bel po’ tuttavia in tarda mattinata, capitò che, al banco degli scampoli di stoffa, si trovarono a tirare il medesimo cencio rosso, che a entrambe sarebbe piaciuto per confezionare il famoso tonacone che indosso praticamente sempre. Per inciso, io quella tonaca rossa non la sopporto più e ne farei volentieri a meno… per non parlare di quel cappellaccio col paraorecchie; vuoi mettere un bel paio di jeans elasticizzati e una felpa degli ACDC o con la linguaccia di Mick Jagger? Eppure Gemma mi faceva solo tuniche rosse e cappelli col paraorecchie, ce n’avevo l’armadio pieno… e che palle! 

    Ma torniamo ai fatti, dei quali vi narro per aver assistito in disparte: rufola di qui e rufola di là, tira te che tiro io, si trovarono a quattr’occhi, si squadrarono per benino, poi mollarono il purpureo cencio e non è difficile immaginare quello che successe: una baraonda! Impossibile raccontare come partì e come si sviluppò la discussione anche perché, se fra moglie e marito è caldamente raccomandato di non mettere il dito… le litigate fra una moglie e una ganza, o pseudo-ganza com’era per me la Bice, non sono affatto piacevoli, e ci mancò davvero un fiat perché non volassero manrovesci e sganassoni. Tuttavia addentrandosi nel discorso, le due antagoniste finirono per coalizzarsi e vi assicuro che il finale, che definirei a sorpresa, andò più o meno come racconto in questa mia ottava rima rinvenuta postuma:

se clicchi qui, la canterai con me

Gemma

(Che non sapeva nulla del primissimo incontro e tantomeno del fatto che io e la Bice non avevamo mai oltrepassato il limite di qualche sguardo malizioso, accontentandoci quindi di un amore affatto platonico, n.d.a.).

 Dammi retta a me che l’ho… conosciuto

parecchio prima ‘he t’avesse occhiata

ma fra le gambe come ti c’è piovuto

vorrei sapé come t’ha abbindolata.

Pe’ ‘ vaini di certo un hai ceduto,

la miseria un l’ha mai abbandonata

eppoi, lasciami di’, è dimorto grezzo

perché ci stai un mi ci raccapezzo.

 La Bice

(Che era sempre incazzata nera per il mancato saluto, n.d.a.)

 A pensacci per bene io t’apprezzo,

fusse toccata a me la tu disgrazia,

alla donna ‘he s’era messa ‘n mezzo,

ne n’avrei date fin’a essine sazia.

Guasi-guasi m’accodo ar tu disprezzo

per quell’omo che la tu’ vita strazia,

però vorrei ‘apì cosa ti pigia

a sta’ con chi ti fa la vita bigia. 

Gemma 

Avrebbe digià fatto… la valigia,

popò di vagabondo ‘ncancrenito,

ner cervello un cià più materia grigia:

mantenuto, pidocchio rivestito!

All’amore di mamma sono ligia,

è ‘r motivo perché un l’ho anco spedito,

ma è siùro che prima o poi lo scacci:

per i bimbi o per chi voi ‘he lo facci?

 (A proposito, i bimbi erano Jacopo, Pietro, Antonia e Giovanni, se me ne ricordo bene – n.d.a.).

 La Bice

 Or che ci penso, ortre a’ piedi diacci,

ni puzza ‘r fiato avella eppoi è tirato…

cià le tagliole ‘n tasca e corti i bracci,

un regalino un me l’ha mai portato;

la ciccia moscia par fatta di stracci

capelli pòi e tinti: è taroccato!

Cià ir naso grosso come un travicello,

è brutto, ber mi’ buo di ‘ammello! 

E alla fine, durante una breve pausa, quando mi scorsero nei pressi del banco della porchetta e intuirono che avevo assistito a tutto il battibecco, si chetarono per un attimo, mi additarono avvicinandosi minacciose e se la presero con me, come capirete dall’ultima strofa che segue.

 Gemma e la Bice, insieme

 Certo un t’ha disegnato Raffaello,

catrozzolo, pài te, rinfiosecchìto,

e sei da torta, ber mi’ stentarello,

ghiozzo di bua, sei secco rifinito;

ar bruttaio faresti da modello

spaccascurregge, rincaarellìto,

sicché d’ora ‘n avanti, ber mi’ buo,

te lo trastullerai per conto tuo!

 

E così, in quella penosa mattinata, me le sono giocate tutte e due.

l'origine dell'inferno ===>

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