ma facciamo un passo indietro: le spiagge bianche <===
L’incontro con la Bice
Con un facile calcolo si noterà che all’epoca
avevo nove anni e Guido (sempre il Cavalcanti) mi confidò che quella bimbetta
si chiamava Beatrice, in seguito per tutti la Bice, e che era la figliola di quel Folco Portinari, agiatissimo
banchiere oltre che fondato re dell’ospedale di Santa Maria Nuova. La Bice,
stando a quanto mi confidò Guido, era nata nove mesi dopo di me, quindi
grossomodo dal 21 di febbraio al 21 di marzo 1266, penserete voi. E avete
proprio ragione!
Vedendomi distratto dall’avvenenza
femminea, Guido rispose prontamente: “Otto”
alla mia domanda di rito tuttavia io, incantato com’ero ad ammirare quegli occhi
verdi e quelle treccine bionde, non me ne resi conto e fu così che egli,
approfittando della mia distrazione, mi rubò tutte le figurine, compreso quella
rarissima di Schnellinger, un
giocatore oriundo dell’Allemagna che picchiava a destra e sinistra senza portare
rispetto ad avversari e compagni.
Quella bimbetta scatenò tutto il
testosterone che avevo in corpo accompagnato da una massiccia dose di tutti gli
altri ormoni steroidei in circolo, tuttavia l’emozione fu di breve durata
perché, quando scomparve nuovamente oltre quel cancello, io mi accorsi della
malefatta di Guido, quella dei figurini, e lo riempii di puntate.
“O come sarà bella, aggraziata, flessuosa!”
Rimuginavo tra me, mentre passeggiavo a braccetto con la Gemma, mia vigente fidanzata
instrumentum dotis.
A sentire la gente, compreso Guido, però, non
è che la Bice fosse una gran bellezza, tuttavia evidentemente l’amore mi aveva
fatto lo sgambetto facendomi invaghire di quei suoi occhi verdi, della sua pelle
di madreperla e, come mi piaceva affermare, parlando di lei, sempre con Guido:
“…Di quel sorriso fresco, spontaneo,
ingentilito da un leggero velo di tristezza”.
Insomma ero incardanato marcio e anche la Bice, a quanto pare, dimostrava di non
essere da meno; infatti una volta che mi incrociò davanti a Palazzo Pitti, un
salutino me lo aveva anche accennato sennonché io, per l’appunto, ero sottobraccio
alla Gemma, a tutti gli effetti in procinto di diventare la signora Alighieri, per
cui fui costretto a fare finta di nulla, per non insinuare in lei il tarlo
della gelosia, e tirai di lungo. E la Bice? Con la coda dell’occhio la vidi che
se ne andava dimenando i fianchi a culo strinto incazzata come una iena e da
quel giorno, non mi salutò più.
O… non mi salutava più per davvero, eh! Neanche
quando ero in giro da solo che so, al Piazzale Michelangelo, a Piazza della
Signoria o al Duomo. Lo faceva a spregio: salutava tutti tranne me. Io la vedevo: buongiorno a destra, come va a
sinistra… a tutti dava soddisfazione meno che
a me.
scete:
“Tanto gentil e tanto onesta pare”
(e sottolineo pare!)
“Tanto gentil e tanto onesta pare
la donna mia quand’ella
altrui saluta”,
scherza, ride, sostiene
la battuta
anche ar telefonino
cellulare.
E tanto è gavinosa quand’appare,
quella popò di ‘hioma
riccioluta!
Ti pare ‘he dar celo sii
viensuta
ne lo farebban l’omini l’artare.
Co’ be’ ragazzi certo un
ci s’annoia,
coll’occhi se li magia
e, per du’ ore,
li sdraia tutti gnudi
nell’arcova:
anche ieri ciò visto ir
Gigi, è nova!
Ma un sarà mìa… pe’ spéngisi
‘r bollore,
m’è doventata un
gocciolino… troia?
N.d.a.: in origine l’ultimo verso avrebbe dovuto terminare
con “allegra”, ma non tornava la rima e così propesi per questa versione più,
diciamo così, spontanea.
È chiaro che quello fu un dannato sfogo dettato dall’impulso, perché ne ero innamorato da morire tanto che, durante la carriera di sommo Vate che il destino aveva in serbo per me, le ho dedicato poesie e prose facendomi, oltretutto, anche innumerevoli seghe mentali… oltre a quelle più concrete, diciamo così… artigianali.
Per esempio, in una delle mie più famose
elucubrazioni mi trovai ad elucubrare,
per l’appunto, che il primo incontro con la Bice era avvenuto quando entrambi avevamo
nove anni, a casa di mio padre; a
diciotto ci eravamo rivisti per la
strada e quasi salutati per la prima volta (diciotto uguale nove per due); io ero
nato da nove mesi quando la Bice
era venuta al mondo… sempre quel numero nove: non poteva essere una semplice coincidenza!
Per farla breve, insomma, alla fine della fiera mi ero fissato che il nove fosse il nostro numero del
destino.
E da lì, la rivelazione. Ma come avevo
fatto a non pensarci prima: il nove è, in sé per sé, un numero Sacro perché
contiene per tre volte la Trinità!
Che la ricorrenza di quel numero fosse un sigillo di predestinazione?
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